“Andrà tutto bene”,
è questo quello che i media, interi condomini, palazzi, bambini, noi, ci siamo ripetuti durante i momenti malinconici di questo 2020 come facciamo con le canzoni che ci entrano in testa e che canticchiamo in continuazione e ovunque senza rendercene conto.
Parlo al passato, perché sono poche ora le persone che continuano a scriverlo, a disegnarlo, a urlarlo, a colorarlo e ad attaccarlo fuori da ogni porta o cancello, quasi come se il mondo intero si sia accontentato della fine del lockdown, e si sia fatto bastare il fatto che ora sa che può andare dal proprio parrucchiere o nel proprio negozio di abbigliamento preferito per colmare il vuoto di tutto, per recuperare quel senso di libertà che avevamo perduto, o meglio che stiamo perdendo.
Nella vita ci sono cambiamenti più difficili da accettare rispetto ad altri, situazioni e sensazioni che a volte ti lasciano l’amaro in bocca come un caffè senza zucchero, spesso anche per tutta la vita.
Negli ultimi mesi ognuno di noi si è sentito come se stesse vivendo all’interno di uno di quei paragrafi di Storia antica dove gli esseri umani morivano e nessuno poteva fare niente.
Da mesi ormai le persone non sono altro che numeri in crescita, i nostri pranzi e le nostre cene sono e sono state intrattenute da percentuali, da dati, da statistiche, che ogni giorno sembrano scendere per poi risalire, solo perché qualcuno ha volutamente scelto di non avere paura ignorando le regole e di non rispettare la paura degli altri.
Sono solo un ragazzo di 16 anni, che da quest’esperienza spera di trarne il meglio e che poco ha da insegnare al resto del mondo, e non perché ho ancora la pelle giovane e il bagagliaio della vita e delle esperienze semi-vuoto, ma perché anche io, come tutti ho capito l’importanza e la rilevanza delle cose semplici e normali della vita soltanto dopo che questo virus silenzioso e apparentemente indistruttibile ce li ha portati via.
A volte mi autoconvinco che l’essere umano sia nato proprio cosi, per apprezzare le cose e le persone una volta perse.
Questi due mesi di Quarantena obbligatoria mi hanno fatto riflettere su quanto sono speciali e grandi i piccoli rituali di felicità, come poter abbracciare un familiare durante una cena di famiglia, come festeggiare un compleanno e sentire l’applauso di chi ti vuole bene, correre al bar sotto casa per gli ultimi cornetti rimasti, fare la spesa e arrabbiarsi perché le persone non rispettano la fila, mangiare un gelato e sporcarti le scarpe nuove, mettere i calzettoni andare a giocare a calcio e abbracciare il tuo migliore amico dopo aver fatto un gol, i corridoi freddi della scuola e l’odore del panino nello zaino.
A volte scrivere ci aiuta a fare chiarezza su cose che tendiamo a tenere all’oscuro, ci permette di accendere una luce, una torcia, una candela, una lanterna all’interno di questo tunnel dove stiamo vivendo, sperando di poter imparare a vivere.
So che nessuno ti insegna a vivere, se non la vita stessa, ma di sicuro abbiamo un compito molto importante da questo momento in poi, cioè vivere per chi non ha potuto farlo e smetterla di screditare ciò che abbiamo.
Siamo dei ricchi che si sono sempre sentiti poveri solo perché abbiamo una macchina più piccola rispetto ad un'altra.
Ci sentiamo poveri, perché scegliamo di sentirci cosi, perché giochiamo con l’universo e la vita a chi è più forte.
Siamo dei finti deboli a volte rivestiti di una sicurezza egoista, che ci porta a dire spesso “A noi queste cose non succedono”.
Ecco perché quando arriva anche il nostro turno, rialzarsi risulta faticoso.
Per questo ho scelto di intitolare questa mia piccola pagina del mio Diario dell’anima: Resilienza.
Resilienza vuol dire la capacità di rialzarsi e di affrontare eventi traumatici e negativi in modo positivo.
Ed è anche l’ingrediente principale per la riuscita della ricetta dell’andare avanti durante questa nuova normalità. Per molte settimane non sono esistiti quartieri diversi, strade diverse, città diverse, tutto quanto il mondo era uguale. Ogni strada, che fosse la più importante di Parigi, o della Cina, o dell’America, non era più diversa dalle altre, era come la vecchia strada vicino casa dove si giocava da piccoli e dove ci sbucciavamo il ginocchio. Ogni paese era fermo, triste e in attesa che qualcuno riaccendesse la luce.
Un fenomeno che purtroppo ho visto in crescita ancora di più durante questi lunghi giorni di chiusura totale, è stato il razzismo.
L’astio che regnava nell’aria - e che molto probabilmente ancora regna- nei confronti delle persone provenienti dall’oriente si poteva osservare con una nitidezza al 100%, ad occhio nudo, come si vede il fumo dei caminetti accesi l’inverno.
Non lo sappiamo ad oggi quale sia la vera verità sulla nascita di questo virus momentaneamente senza cura, e forse non la sapremo mai, resterà sempre così, un caso chiuso in archivio pronto a prendere polvere e ad ingiallirsi, come tante verità mai sapute o tenute nascoste, ma una cosa è certa, ognuno di noi ha sulla propria pelle,anzi sul proprio cuore, un segno lasciato da questa pandemia globale, definita tale a marzo 2020.
Ancora ora devo capire se ho paura di abituarmi a questa nuova normalità, o se ho paura di non abituarmi mai, so solo che molto spesso durante questi mesi, mi sono ritrovato a pensare agli ospedali, ai dottori, agli infermieri e alle infermiere che hanno praticamente camminato mano nella mano con quest’infezione senza mostrare un minimo cenno di debolezza, nonostante molti di loro fossero madri o padri di famiglia.
Sacrificano la loro vita per tutelare la nostra, e non solo per dovere, ma per scelta.
Quindi mi rivolgo a ogni persona che sceglie di non rispettare le regole, mi rivolgo anche a noi stessi, ogni volta che decidiamo di lasciare la mascherina nel cassetto stiamo uccidendo un medico, che prima di essere un medico, è una persona, un figlio, un papà, un fratello, un marito.
Prendiamo a calci il rispetto di chi ha perso per sempre una persona cara senza nemmeno poterla salutare o piangere la sua perdita in modo degno.
Apriamo la pattumiera e buttiamo ogni sacrificio, ogni attesa, ogni preghiera, ogni sforzo di chi ha lottato e sta lottando per cercare di far ripartire il paese senza lasciare nessuno indietro.
Quindi mi domando, voi come vi sentireste se qualcun altro scegliesse di ignorare ogni vostro sacrificio mandando all’aria ogni vostro sforzo?
Michele Delia
RESILIENZA post Covid-19 di Michele Delia classe 3E
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