Un momento difficile non arriva mai per caso. È un tempo di misurazione delle nostre capacità. Cadere serve a rialzarsi e non a rimanere in ginocchio. È per questa ragione che tra le porte rimaste aperte c’è la scuola, con una maniglia che abbiamo inclinato con la forza di una professionalità che cambia di volto in volto ma è anche capace di modificare i cuori a cui parla. In questa nuova “stanza” abbiamo incontrato i battiti di ognuno, allo stesso ritmo del bisogno di un conforto, quello che la scuola ha dato attraverso la continuità. In un mondo virtuale fatto di click e accessi, dove a contare è più il sorriso che il vestito, ci siamo tutti e c’è un’Italia scolastica ferita ma moralmente obbligata a creare l’attesa della “Gioia alata, degli Dei foriera”. Non ci rende giustizia, non ci soddisfa nel pieno di un potenziale che sembra non esprimersi in toto, ma è la possibilità in una realtà congelata dal vuoto. Abbiamo attraversato un mese che sembra non esserci stato ma che, alla fine, è destinato a non essere dimenticato.
C’era freddo i primi giorni. La mancanza di calore ha rischiato di contagiare anche il colore delle nostre giornate. Ci siamo sentiti quasi senza ruolo. Abbiamo provato un senso di smarrimento nel concetto di: “tutto il mio l’acoro è andato perduto”. Ci consolavamo con il telefono ma rispondere alle chiamate sembrava aumentare quelle distante di cui ora è pieno il web. Sì, il web. “Non dirmi che potremmo essere capaci di compensare la presenza con la connessione?”. Domande retoriche, idee ridondanti occupavano le ore mentre pensavamo di riordinare materiale da inviare con la messaggistica più sofisticata sperando che, per gioco o per scrupolo, la nostalgia potesse farci “incontrare” in rete. Invece abbiamo addirittura creato una maglia di sapere, saper fare e saper far fare; perché non possiamo permetterci di licenziare una classe che si immette nel mondo del lavoro con meno diritti, e meno competenze, di quelli che sono stati dati finora. Il nostro redde rationem segue una coscienza profonda e riflette l’opera di chi ci ha formato. Complimenti a noi e, permettetemi, anche alla preparazione culturale e tecnica dell’Itis “Conte Milano”.
Annamaria Implatini